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UN FILO, UNA LUNGA STORIA....LA CANAPA



Testo e immagini di ivanasetti


Sull'onda dei ricordi personali e con l'aiuto da amici e parenti e perché no da Internet e da libri dalle biblioteche, tempo fa scrissi questo piccolo articolo, che accompagnava un breve percorso nelle abitudini contadine.



Occasione fu l'allestimento di una mostra senza pretese: "Profumo di lavanda.....apriamo il baule della nonna!!!", che preparai a Villa Ronchi.
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Avevamo dimenticato la canapa. Le persone anziane, forse, hanno un ricordo ancora vivo, legato alle fatiche, alle angustie, che accompagnavano la coltivazione di questa pianta. Fino alla fine degli anni 50 dello scorso secolo, la canapa rappresentava un valore, una ricchezza: gli utilizzi erano ancora importanti nel settore dei tessili artigianali e industriali, nelle cartiere, nell’edilizia e nei cantieri navali. Per le famiglie delle campagne fin da marzo, con la semina, si preparava una stagione intensa, che terminava solo in autunno, quando tutto il procedimento della raccolta e lavorazione del tiglio, dopo i vari lavori di macerazione e gramolatura, si compiva con la consegna del prodotto ai consorzi della canapa. Nelle case si trattenevano quei quantitativi di fibra che servivano per l’uso famigliare: spettava poi alle donne il compito nelle giornate invernali della filatura della bionda fibra. Nelle stalle, al calore delle mucche, alla luce di lampade a petrolio, il fuso roteava come trottola, guidato dall’agile mano della filatrice, che, con le dita inumidite, attingeva filo dalla rocca. Qualche vicino veniva in filò, racconti, battute, scherzetti alleggerivano la serata. Certuni tessevano persino in casa, per ottenere quei ruvidi teli, ma resistenti per confezionare lenzuola, asciugamani, anche capi d’abbigliamento, sacchi per il grano o le farine, cordame ecc. Ancora oggi, dai bauli delle nonne possono uscire interessanti testimonianze di quella operosità femminile.
Ho avuto occasione di parlare di questo argomento con persone più anziane di me, che, appunto, ricordano vivamente l’odore che emanavano quegli steli eretti, fitti, di un verde scuro; mi hanno parlato di certi episodi di sensibilità al contatto con le inflorescenze delle piante, della golosità degli uccelli per i semi, della stravagante reazione delle galline che, nella vicinanza dei campi di canapa, sembravano ubriache.
Bisogna andare in quei musei della civiltà contadina, dove cultori appassionati raccolgono attrezzi, oggetti, scritti, fotografie, che riproducono abbastanza fedelmente l’ambiente e l’atmosfera di quei tempi, per avere un’idea di quel mondo agricolo. Nel nostro territorio esistono alcuni esempi, quale “il Museo della Civiltà Contadina” di S. Marino di Bentivoglio e l’altro di recente inaugurazione a S Matteo della Decima. Ricordo che anni fa accompagnammo i miei genitori anziani a visitare questa bella villa in mezzo al verde: mio padre era entusiasta, descriveva le varie fasi della lavorazione della canapa, nominava oggetti ed attrezzi con una ispirata eloquenza. Mia madre, invece, rimaneva in disparte, come infastidita, senz’altro riandava a quei tempi così duri e densi di fatiche.

In questi 50 anni di oblio verso la canapa da fibra, è prevalso il concetto , che questa pianta produca soltanto resina, dalla quale si ottiene una droga, la così detta marijuana, con tutti i problemi sociali inerenti. Naturalmente non è solo questo il motivo per la proibizione di coltivare la canapa. Già prima della seconda guerra mondiale dagli Stati Uniti era partito un primo divieto verso questa coltura. L’industria chimica stava producendo nuove fibre, quelle così dette sintetiche, partendo dal petrolio. Erano più vantaggiose, senz’altro avevano pregi di durata, resistenza e duttilità, ma soprattutto favorivano l’economia nazionale. Anche il cotone prese il sopravvento sulla coltivazione della canapa, dando origine a grandi squilibri naturali, soprattutto in quelle regioni asiatiche, che per millenni avevano coltivato canapa. Il cotone, che in molti paesi, anche asiatici ha soppiantato la canapa, richiede cure e molta acqua, al contrario della canapa, che ha crescita veloce, non necessita di concimazioni,l’effetto negativo dell’abbandono di questa coltivazione fu appunto l’uso molto incrementato di concimi, diserbanti, anticrittogamici ecc.
Ci sono voluti più di quaranta anni, per trovare le ragioni di un ritorno alla canapa. In tutto il mondo, dagli anni novanta, si sono fatti progetti per la reintroduzione della filiera della canapa. L’Italia è sempre stato un paese grande produttore, al secondo posto al mondo, dopo la ex Unione sovietica. Alcune regioni italiane erano adatte per terreno, clima a questa coltura,Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Marche per la canapa da tessile, mentre al centro e sud, Lazio e Campania, la produzione era destinata al seme. Alla fine degli anni novanta sorge l’Assocanapa in Piemonte, dove si è sempre prodotto una ottima qualità di fibra, la Carmagnola,mentre agli inizi di questo secolo, in Emilia Romagna si sono iniziate produzioni pilota, nel ferrarese; è sorto anche un “Consorziocanapa”. Alcuni agricoltori, coadiuvati da ditte che gestiscono la lavorazione e la commercializzazione della fibra e degli altri prodotti derivati, hanno utilizzato un seme speciale, ottenendo la baby-canapa. Altri esempi, con introduzione di piccole aree coltivate a canapa, sono spuntati in altre regioni, un tempo deputate a questa filiera.
Non vediamo più quei campi, che sembravano macchia, con piante dagli steli alti dai due ai tre metri, ma una sparuta distesa di piantine rade e basse. La mietitura avviene naturalmente con macchine agricole speciali, non più fatta singolarmente dal contadino, con il falcetto, che qui chiamavamo “mocc’”. Naturalmente vigono nuove norme: la canapa sativa, da tessile, è consentita solo perché si è ottenuto una semente, che produce un tipo di pianta a bassissimo contenuto di THC (tetraidrocannabinolo) nelle sue inflorescenze. Le normative al riguardo sono molto severe, la documentazione necessaria è obbligatoria, come obbligatorio è il ritiro delle sementi presso aziende autorizzate. L’Italia è sempre stata all’avanguardia proprio per la qualità della fibra ottenuta con la varietà Carmagnola, Fibranova ecc…. Il toponimo “Canavese”deriva proprio da canapa, come in Inghilterra, il toponimo Hempshire da hemp, o Bangladesh in Asia.
In Italia, le leggi relative all’uso della droga, hanno ritardato la reintroduzione della coltura della canapa: in Francia, come in Russia non c’è stata l’interruzione, per cui questi stati facevano fronte al 70% del fabbisogno mondiale.

Per allargare le nostre conoscenze, limitate all’uso precipuo che se ne faceva da noi, cioè coltivazione della canapa per ottenerne la fibra tessile, abbiamo fatto una ricerca, per avere una idea dei molteplici usi che se ne facevano in passato e degli altri prodotti che se ne ricavano.
Diamo qualche cenno della antichissima storia della canapa. E’ una pianta spontanea, forse ha origine nella Siberia orientale e nella Cina. La Cina infatti ha le prime testimonianze della addomesticazione della pianta già nell’ottavo millennio a.C.; cinquemila anni fa i cinesi ne facevano tessuti e duemila anni fa ne ricavarono anche la carta.. Si presume che sia giunta in Europa solo nel VII secolo a.C. portata dagli Sciti, lo storico Erodoto ne descrive la diffusione nei paesi balcanici. Anche ai tempi dei Romani nelle nostre zone emiliane si coltivava canapa, impiegata per usi militari. Molto importante era la fibra della canapa nella marina commerciale e i viaggi delle grandi scoperte, per le vele o le corde utilizzate, senza di essa non sarebbero stati possibili. Per secoli è stata importantissima merce di scambio, fino a quando il colonialismo non introdusse nuove fibre, la juta e il cotone, o quando si passò, per l’industria cartiera, all’utilizzo del legno. Poi negli anni trenta del secolo scorso i brevetti del Nylon e della Cellulosa declassarono gli utilizzi della canapa. Il Veto totale degli anni cinquanta diede il colpo finale, per cui, con solo pochissime eccezioni, la canapa industriale sparì.
Da millenni, oltre ai tessuti, si sono utilizzati anche i semi come cibo sano, per preparare medicine efficaci, come solvente per i colori e le vernici. Possiamo citare Gutenberg, che stampò la Bibbia su carta fatta con canapa, o le pitture ad olio dei pittori.
I semi erano già noti ai Cinesi, che li usavano come alimento primario, anche gli Egizi, i Greci come pure tutte le regioni dell’Impero Romano conoscevano questo alimento. Oggi è possibile riconoscere scientificamente il valore nutritivo e protettivo del frutto della canapa (seme), che contiene circa il 24 % di aminoacidi e quasi il 40% di grassi insaturi e di acidi grassi essenziali (omega 3 e 6). Si possono trovare prodotti alimentari, quali farine, olio, semi per la cucina, biscotti, pasta, cioccolata. Nel Web si trovano anche delle curiosità: ricette moderne che propongono piatti vari con farine, oli, semi. In medicina esistevano varie applicazioni terapeutiche, che furono improvvisamente sospese con il proibizionismo. Recentemente alcuni stati hanno riammesso per l’uso medico farmaci ottenuti dalla canapa, da ricordare l’effetto benefico contro le nausee nei cicli di chemioterapie, l’efficacia in patologie cardiovascolari, nella osteoporosi ecc. Nella storia si hanno molti esempi di grandi personaggi, che si curavano con la canapa, come Carlo Magno o la regina Vittoria d’Inghilterra.

Le sempre più allarmanti previsioni sul futuro dell’ambiente, le ricerche più mirate per togliere la condanna ingiusta verso la canapa, la pressione dei governi per scelte economicamente più equilibrate, hanno condotto a questa rinascita. Vengono promosse iniziative con contributi comunitari; in molte nazioni, dove un tempo la canapa veniva coltivata su larga scala, riappaiono queste colture. L’Italia però sembra non avere risolutiva volontà di allargare questa esperienza, che per altri paesi ha riscontri più concreti. Anche se nel campo della ricerca siamo abbastanza quotati, per i risultati reali siamo ancora indietro. Le difficoltà nascono anche dalle incognite, che si prospettano, su eventuali progressive mutazioni della percentuale di THC (che non dovrebbe essere oltre 0,3%); inoltre l’onere delle certificazioni, i controlli anche con mezzi aerei, da parte della polizia, forse la scarsa remunerazione, i rischi legati al tempo meteorologico scoraggiano i produttori.
I vantaggi sarebbero invece tanti, a livello mondiale. Prima di tutto l’aspetto agronomico e ambientale:
La canapa serve a migliorare il terreno dove viene coltivata, ha radici profonde che portano in superficie sostanze nutritive per altre culture successive.
Come cibo per l’uomo e gli animali sarebbe più sano e meno costoso.
La carta di canapa è preferibile, perché si ricava usando meno sostanze inquinanti e offre maggiore resistenza.
La plastica potrebbe essere sostituita dalla canapa, che è adatta a trasformazioni in altri materiali, utili in tutti i settori dell’industria.
Oltre alla grande importanza come fibra tessile, la canapa avrebbe applicazione soprattutto come produttrice di energia, attraverso la sua materia vegetale trasformabile in biomassa. Prenderebbe il posto del petrolio, a beneficio dell’ambiente. Diesel stesso, l’inventore del motore omonimo, aveva sperimentato i suoi prototipi con carburante ottenuto dall’olio di canapa
Vedremo a breve i risultati di questa nuova tendenza, che, a rigore di logica, ha tutto di positivo?

Commenti

ivana ha detto…
Dede...
è durissima...tutta la ricerca a vasto raggio che ho fatto mi dà poco da sperare!
Ho tralasciato le parti un po' polemiche, naturalmente, scaturite dall'amarezza per questo mondo scomparso, che poteva salvarci in tanti modi!

(un esempio il lago Aral in Asia...guardando le foto da satellite è una catastrofe!!!)
Un abbraccio
Maria Elena Gonano ha detto…
Un post interessantissimo che mi rileggerò con più calma.
Davvero fa pensare, come tutto ciò che scrivi.

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