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a MARIA

Una soffitta di memorie.

Apro scatoloni e sciolgo da legacci improvvisati plichi polverosi...ma perché ho abbassato la scala a pioli che conduce al sottotetto?
Rivolta il terreno come un aratro, compaiono alla luce cose, che avevi dimenticato. Foto, libri, lettere, appunti, poesie di un tempo; polvere sulle dita, ma sussulti sull'anima. Ti ritrovo in questa foto, che ti ritrae forse a un anno prima della tua morte, a venticinque anni...
Oggi, Venerdì Santo, mi si apre inatteso questo incontro con te nella memoria, ascoltare le nostre parole di nuovo, riannodarle, sparpagliarle intorno a noi, con l'enfasi di un tempo, nel buio di una sala da pranzo sempre chiusa, o lungo i sentieri della mia campagna.
Tu avevi però l'impegno, un po' misterioso per noi, di andare in città; tuo padre, che mai aveva sposato tua madre, possedeva una fabbrica e forse tu andavi a svolgere qualche compito amministrativo o altro, anche se a questo non hai mai accennato. Noi ti rispettavamo; avevi un aspetto signorile e una naturale ma dolce austerità nel volto, nell' atteggiarti, nel parlare.
Ci conoscemmo incontrandoci alla stazione, quando frequentavamo le superiori, in due diverse città.
Eri anche tu della campagna, per molto tempo ho ignorato dove esattamente tu abitassi, ma era nella parte a sud del paese, mentre io abitavo nella campagna a nord. Ci fermavamo dopo l'arrivo con i rispettivi treni, un po' lungo il viale della stazione a parlare di noi, dei nostri sogni. Poi venisti un giorno in bicicletta a casa mia, ti prestai dei libri, bevemmo il tè, camminammo lungo la carreggiata, luogo sereno e amico.
E da allora la nostra amicizia si alimentò di queste scampagnate, delle passeggiate ma soprattutto dei lunghi dialoghi che tenevamo al bordo dei fossi al tempo delle vacanze, o nel chiuso della mia o nella tua stanza nelle stagioni fredde.
Eri molto speciale!

Ritorno dabbasso, richiudo la botola....il sole del mattino sta accarezzando la forsizia del giardino del vicino.

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