Passa ai contenuti principali

Trentino, le Marocche di Dro






Sono le sei e trenta di un mercoledì estivo e l'accesso alla A 22 a Carpi è già convulsamente frequentato; la piatta fascia stradale della pianura modenese, verso Mantova, è un brulicare di veicoli, soprattutto commerciali, da e verso il Nord; il sole è ancora radente ad est e abbarbaglia inesorabile la nostra vista.
La monotonia del paesaggio padano viene man mano ingentilita dalla linea morbida dei Colli Euganei, che poi si defilano a destra, mentre ci si avvicina alla zona veronese, alle Prealpi. Questa volta pensiamo di fare una deviazione: uscire dall'autostrada a Rovereto, inoltrarci nella dolce natura che preavvisa la vasta zona del Lago di Garda, che ci dà un pezzetto di Mediterraneo, con ulivi argentei, fra l’intenso verde di pini, o con i ciuffi delle palme nei giardini delle case. I vigneti ben ordinati fiancheggiano la strada, quasi senza interruzione.
Nostro desiderio è tornare alle Marocche di Dro, un paesaggio rude, strano, inaspettato: un gigante primordiale ha stravolto il paesaggio armonioso, scagliandosi contro le rocce, frantumandole, facendone rotolare massi a valle, che stanno ancora qui dopo forse 200.000 anni a testimoniare la forza erosiva di un immenso ghiacciaio, forse il maggiore in quel periodo, della catena alpina.
Una piccola sosta per scattare foto, scorci rubati fra la vegetazione al bordo dei dirupi, sorpresi di fronte a questa improvvisa arida visione, che cancella quella della natura dolce mediterranea, appena visitata.
Sembrerebbe un inutile paesaggio amaro e avaro, da cancellare, da appianare, riempire di moderne strutture, da utilizzare come impianti sportivi, che richiedono spazi ampi….ma poi il buon senso prevale, la natura è interessante in tutti i suoi aspetti, può essere studiata, analizzata e da essa possiamo avere maggiori dati sulla evoluzione geologica, sulla flora e fauna.
Confortevoli sono gli spazi da pic nic ricavati a lato della stradina, che ci danno la possibilità di raccogliere le nostre sensazioni, di elaborare le due visuali contrapposte, della roccia spezzata, dei massi disordinati scagliati nella valle da una parte, alla nostra destra, mentre alla sinistra abbiamo un declivio verde, ammorbidito dalla mano dell’uomo, con campi coltivabili ricavati, per dare possibilità alle piccole comunità di vivere e svilupparsi anche in questo territorio. Sulla cresta dei monti appare come una corona merlata la sagoma di un castello.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ciao Ivana. Allora eri a circa 5 km da casa mia! Le marocche di Dro le conosco benissimo! Ho abitato a Dro per 11 anni prima di trasferirci a 5 km più vicino al Garda! Un abbraccio. Billie
ivana ha detto…
Cara Billie!!!

Sono stata a Toblino a fare colazione al bar!!!
Ho fatto un giro bellissimo, dove sono stata parecchie volte, anche a Monselice al ritorno, sto preparando altri post!
Grazie della visita...avessi pensato, sarebbe stato bello vederci!!!!

Ma mica è detto che possa succedere ancora!!!!
Ciao!!!!

Post popolari in questo blog

BAMJE, OKRA; GOMBO ...un INCONTRO SERENO

Il G. ed io abbiamo fatto dopo anni ritorno alla casa di una coppia di amici, che purtroppo non ci sono più, erano molto più anziani di noi: Nella grande casa in mezzo al verde vive Roberta, la figlia minore...a lei dobbiamo portare il nostro saluto, ma anche le condoglianze per la morte prematura di sua sorella Luisa. Dolore e mestizia, ma il rievocare la nostra frequentazione per decenni della loro casa le ha addolcito quell'ora, distogliendola dal presente. Armando, il compagno rientrato dal lavoro, è  gentile e attento, lo vedevo qualche volta lì in casa, ma ora mi rendo conto quanto sia disponibile, premuroso... Dobbiamo venir via...ci accompagnano, e viene il discorso del cibo, e Armando ci presenta il suo orto, e non solo... Una striscia del parco è adibita ad orto, piante di pomodoro, sostenute da frasche di legno, melanzane violette e un quadrato di rigogliose foglie verde scuro, che mi ricordano l'ibisco e il malvone...questa pianta Armando voleva proprio mostra

Lo SCALDALETTO di una VOLTA

Antichi oggetti del contadino, in una casa colonica-museo della Bassa Modenese. Testo e immagini di ivanasetti Nelle case di campagna fino ad alcuni decenni fa non esisteva il riscaldamento dell'intera abitazione. La grande cucina aveva il camino e il fuoco scaldava solo questo ambiente o, al limite, la canna fumaria in muratura che attraversava in verticale le camera del piano superiore, dava una specie di tepore, che nelle ore delle notti invernali scemava man mano. Per togliere il crudo gelo alle lenzuola, nelle stanze da letto sempre fredde, si usava il "prete" che è il telaio di legno da infilare sotto le lenzuola e le coperte, entro il quale si appoggiava la "suora", lo scaldino colmo di braci, ma nascoste nella cenere, per non provocare rischio di incendio! C'era un"prete" per ogni letto e dopo cena si incaricava sempre qualcuno di portare la "suora" nei rispettivi letti! E nessuno voleva farlo, non era piacevole salir

La vecchia salsa da lesso del suocero

Anche se poi non raggiungo mai il risultato equivalente! Tanto per cominciare si usavano solo i prodotti dell'orto, che un tempo erano un po' scarsini. Si dovevano avere essenzialmente questi ortaggi: non i bei peperoni carnosi di oggi, ma i diavolicchi verdissimi e piccantissimi, le pastinache, così chiamavano le carote, le solite cipolle e il sedano verde, e tantissimo prezzemolo; la rifinitura era l'aceto agro fatto in casa, con i rabbocchi dei resti di vino! (Non dovrei dirlo, ma 'sto aceto a volte era solo acido!) Vi passo le immagini della mia versione, come prassi, si va ad occhio! Senz'altro non eccedo in prezzemolo, perché mi piace vedere il pot pourrit di colori, inoltre do un finale tocco di addensamento con farina che proprio non ci dovrebbe andare, perché importante era avere la parte oleosa ben separata dalle verdure, mentre la farina dà consistenza cremosa.